Le lenti a contatto non sono tutte uguali. Semirigide o morbide, monouso o riutilizzabili, con o senza correzione astigmatica, multifocali. Potremmo scriverne per giorni.
Oggi però parliamo solo di una ristretta categoria: le lenti morbide, di ogni genere, sferiche, toriche o multifocali.
La parte più sensibile e forse più importante del nostro occhio è la cornea, la parte trasparente della superficie esterna dell’occhio attraverso cui entrano i raggi luminosi che ci consentono di “vedere”. La cornea per preservare la sua trasparenza non ha vasi sanguigni e trae l’ossigeno che le serve a sopravvivere in salute da scambi diretti con i fluidi interni all’occhio sul suo lato interno e, soprattutto, con l’aria ambiente sul lato esterno. L’utilizzo di una lente a contatto morbida che, per il suo diametro, copre tutta la superficie della cornea, può ridurre gli scambi di ossigeno con l’aria generando quella che si chiama “ipossia” ovvero carenza di ossigeno alla cornea. Dall’ipossia si arriva a scompensi corneali più o meno gravi, spesso reversibili, ma che nel medio-lungo periodo possono compromettere seriamente la salute oculare. Edema, visione annebbiata, aloni, arrossamenti incapacità a vedere bene quando rimuoviamo le lenti e indossiamo gli occhiali possono essere alcuni, ma non tutti, dei segni che la nostra cornea sta soffrendo carenza di ossigeno.
La lente a contatto ha un’infinità di parametri che la caratterizzano: caratteristiche geometriche, raggio, diametro, forma del bordo, parametri ottici, affinità alla lacrima, idratazione, bagnabilità superficiale, modo di utilizzo, materiale, permeabilità all’ossigeno e così via. Per questa ragione essa deve essere scelta con professionalità da personale competente che possa assegnare la lente migliore ad ogni occhio e situazione di utilizzo, senza “vincoli” di tipo commerciale ma potendo scegliere fra tutte le lenti disponibili sul mercato.
In termini di materiale e ossigenazione potremmo dire, a grandi linee, che più alto è il parametro DK (la capacità del materiale di far passare ossigeno) e meglio è. In realtà però non è così semplice e anche questa scelta va fatta con accortezza.
Per usi estremamente sporadici, di qualche ora al giorno o molto saltuario durante la settimana (tipicamente solo nel weekend), una lente in semplice hidrogel può essere una soluzione accettabile.
Per usi più frequenti, tipicamente tutti i giorni per più di mezza giornata, una lente in silicone-hidrogel magari di qualità “standard” diventa sicuramente la scelta necessaria.
Se poi si aggiunge che a volte capita di fare la “pennichella” pomeridiana di una mezz’ora magari senza rimuovere le lenti (cosa sconsigliata, ricordiamo che le lenti a contatto non prevedono la possibilità di dormirci, salvo indicazioni specifiche del medico-oculista in casi particolari) la lente ad alta permeabilità all’ossigeno diventa una necessità.
Dobbiamo ricordare infine che lenti di poteri elevati, lenti per astigmatici o lenti multifocali hanno per costruzione spessori più elevati delle lenti sferiche di basso potere con cui normalmente vengono fatti i test standard sui materiali. Questo significa che se una lente nominalmente ha un valore di permeabilità all’ossigeno accettabile, spesso nella realtà, con il potere e le caratteristiche finali della lente da indossare, avrà valori di permeabilità molto più bassi e incompatibili con la salute oculare. Ecco allora che servirà una lente con un DK di partenza più alto, ovvero un silicone hidrogel magari ad “alte prestazioni”.
La lente in silicone hidrogel inoltre ha anche altri vantaggi quali, ad esempio, il fatto che si disidrata solitamente meno di altre lenti quindi, sebbene appena messa possa sembrare più “presente” nell’occhio, dopo poche ore il suo comfort diventa superiore alle altre lenti, arrivando con comodità a fine giornata.
Da Ottica Omega scegliamo, anche nei casi “semplici”, la lente più idonea per ogni persona solo dopo averne capito le esigenze e valutato le caratteristiche specifiche dell’occhio e programmiamo con il portatore una serie di controlli di follow-up per valutare la compatibilità della lente con l’occhio del portatore nel tempo.
Cerchiamo costantemente di promuovere l’utilizzo dei prodotti migliori e più rispettosi della salute oculare anche tramite iniziative commerciali come il nostro multipack di lenti in silicone-hidrogel monouso.
Questo articolo non può essere esaustivo e in alcun modo non si sostituisce al supporto e al consiglio di alcuna figura professionale. La terminologia usata non è da ritenersi scientifica ma, al contrario, mirata a rendere il più comprensibili possibili i concetti espressi.
L’occhiale progressivo o multifocale è al giorno d’oggi uno strumento di impareggiabile efficienza e praticità di cui ogni portatore presbite non dovrebbe privarsi (scopri di più sulla presbiopia).
Esso consente di vedere contemporaneamente bene sia da lontano che da vicino con una variazione di potere graduale (o, per l’appunto, progressiva) sfruttando i movimenti oculari che cambiano solitamente la direzione dello sguardo a secondo che sia stia guardando qualcosa davanti o intorno a noi (visione da lontano) o che si stia fissando un documento o uno schermo sotto di noi (visione prossimale).
Ecco quindi che l’utilizzo dell’occhiale progressivo richiede un periodo di adattamento, ovvero un periodo di allenamento e training di quei movimenti che per il 95% delle volte sono i movimenti spontanei ma che, in alcune circostanze specifiche, debbono essere rimodulati e adattati all’occhiale multifocale.
Gli occhiali progressivi inoltre non sono tutti uguali. Una decina di anni fa le tipologie di occhiali multifocali erano estremamente limitate e le geometrie delle lenti progressive erano rudimentali. Oggi la tecnologia di lavorazione, il design computerizzato, la conoscenza di tutti quei parametri che rendevano un occhiale multifocale “fastidioso” fanno sì che in generale tutte le geometrie siano migliorate in termini di comfort e di facilità di adattamento ma anche che ci siano tantissimi tipi di multifocale, ognuno specifico per un determinato utilizzo.
Ecco allora che si hanno occhiali progressivi di ogni genere quali, ad esempio:
Il punto di partenza essenziale è sempre una recente e accurata analisi del difetto refrattivo (il controllo della vista) che deve essere condotto specificamente per ottimizzare la portabilità dell’occhiale multifocale e che richiede test molto più avanzati e tolleranze molto più basse di un come controllo base. I controlli effettuati all’interno di Ottica Omega hanno l’accuratezza necessaria alla realizzazione dell’occhiale progressivo.
Tutte le persone e tutti i sistemi visivi sono situazione a se stanti e, per quanto si vogliano ottimizzare prodotti e metodi, capita inevitabilmente che una piccola percentuale di portatori (nell’ordine di qualche punto percentuale) non riesca proprio a tollerare un determinato occhiale progressivo. Quando questo capita ci viene incontro la garanzia di adattamento.
Ogni occhiale progressivo realizzato presso Ottica Omega infatti ha una garanzia tale per cui entro 30 giorni dall’acquisto le lenti dell’occhiale progressivo a cui eventualmente non ci si fosse abituati possono essere rese e sostituite con un’altra soluzione che può essere:
* l’eventuale integrazione di prezzo fra la lente meno performante e quella più performante resta a carico del portatore.
Come abbiamo detto in apertura, l’occhiale progressivo è oggi una comodità tale che non è assolutamente sensato rinunciarvi a priori per un “timore”.
Per questo motivo facciamo di tutto per mettervi in condizioni di poterlo provare nella massima serenità e semplicità.
Quella che segue è una traduzione di un articolo del BCLA (British Contact Lens Association) circa i rischi di infezione da Acanthamoeba.
Molto in breve possiamo dire che nell’acqua esistono dei microorganismi che naturalmente non sono pericolosi per l’occhio, ragione per cui possiamo fare il bagno in piscina o al mare, la doccia o lavare con acqua senza correre normalmente rischi. Questi microrganismi sono presenti in ogni tipo di acqua, anche quella in bottiglia o quella clorata delle piscine.
Quando questi microrganismi però incontrano un occhio di un portatore di lenti a contatto hanno delle facilitazioni non indifferenti per attaccarlo. Anzitutto l’occhio può essere leggermente abraso per la semplice rimozione o l’inserimento delle lenti, trovandosi così con le difese molto ridotte. Inoltre il microrganismo può sfruttare la lente a contatto come “nido”, come mezzo di stabilizzazione per avere il tempo necessario ad attaccare la cornea prima che la normale azione delle palpebre o della lacrima possano allontanarlo dall’occhio stesso.
Se questo organismo attacca l’occhio le conseguenze sono quasi sempre estreme e difficilmente recuperabili.
La miglior difesa è quindi la prevenzione, oltre che la massima attenzione nell’uso e la cura delle lenti secondo le indicazioni fornite.
Non permettere mai all’acqua di entrare in contatto con le lenti a contatto o con la custodia per lenti a contatto.
Non sciacquare mai le lenti con l’acqua del rubinetto poiché può contenere impurità che possono contaminare o danneggiare le lenti e causare gravi lesioni agli occhi e perdita della vista.
Se ritieni che le tue lenti a contatto o la custodia delle lenti a contatto possano essere state contaminate con acqua, sostituiscile immediatamente con altre nuove.
I problemi con le lenti a contatto sono fortunatamente rari ma la ricerca mostra che è più probabile che si verifichino se non vengono seguite le procedure igieniche raccomandate. Ecco perché è importante ascoltare attentamente i consigli dello specialista in lenti a contatto e seguire sempre le istruzioni sull’uso e la cura delle lenti, oltre a quelle del produttore delle lenti a contatto.
Un tipo di infezione che colpisce la cornea, la parte anteriore trasparente dell’occhio, è la cheratite da Acanthamoeba, una condizione rara ma molto dolorosa e pericolosa che può causare perdita della vista.
Negli Stati Uniti, circa l’85% dei casi si verifica negli utilizzatori di lenti a contatto. L’incidenza della malattia nei paesi sviluppati è approssimativamente da 1 a 33 casi per milione di portatori di lenti a contatto.
L’organismo che causa l’infezione, l’Acanthamoeba, è stato trovato in quasi tutti gli ambienti, inclusi suolo, polvere, acqua dolce e acqua di mare. L’Acanthamoeba si trova in piscine clorate, vasche idromassaggio, acqua di rubinetto domestica e persino nell’acqua in bottiglia. È anche presente, senza causare infezione, nei passaggi nasali di persone sane.
I fattori di rischio per l’infezione nei portatori di lenti a contatto includono:
I sintomi della cheratite da Acanthamoeba includono la sensazione di avere qualcosa negli occhi, lacrimazione, visione offuscata, sensibilità alla luce, gonfiore della palpebra superiore e dolore estremo. Se si verifica uno di questi sintomi, rimuovere le lenti a contatto e consultare immediatamente il medico oculista o il pronto soccorso.
Se l’infezione viene riconosciuta in anticipo, quando è interessato solo lo strato superficiale della cornea, si può provare a rispondere rapidamente mediante trattamento (non sempre efficace). Tuttavia, se l’infezione viene riconosciuta in un secondo momento, può essere necessario un trattamento intensivo fino a 12 mesi (non sempre efficace). L’infezione può ripresentarsi anche dopo il trattamento.
La maggior parte dei casi di cheratite da Acanthamoeba è prevenibile se i portatori di lenti a contatto seguono le istruzioni fornite dal loro specialista e sui loro prodotti per la cura delle lenti. I portatori di lenti a contatto che non rispettano queste istruzioni possono aumentare il rischio di infezione da Acanthamoeba e altri organismi.
Non tutte le soluzioni per lenti a contatto hanno la stessa capacità di disinfezione, quindi non è consigliabile cambiare soluzioni senza il consiglio del proprio specialista.
Una miniguida a cura della WHO – World Health Organization su come lavarsi le mani con efficacia. Da tenere presente sempre ed in particolare quando si usano le lenti a contatto.
Sebbene possa sembrare che la plastica che compone le nostre lenti a contatto sia una quantità irrisoria, essa sta generando non pochi problemi ambientali. L’abitudine di gettare le lenti a contatto monouso direttamente nel WC fa sì che tonnellate di plastica (hai letto bene, TONNELLATE) si riversino ogni giorno nei sistemi di depurazione e filtrazione, danneggiandoli, riducendone l’efficacia e finendo poi con il generare un inquinamento da microparticelle plastiche forse ben più subdolo di quello visibile che ogni giorno abbiamo davanti agli occhi. Non vedere significa non rendersi conto della gravità del problema, non vedere significa venire a contatto e magari bere acqua inquinata ogni giorno senza rendersene conto.
Non dimentichiamo infine che oltre alle lenti, completano il quadro inquinante gli astuccini (con una quantità di plastica ben maggiore) e le scatole in cartone. Tutti questi prodotti possono avere un impatto bassissimo se correttamente smaltiti o possono contribuire a rovinare il Mondo in cui viviamo se gestiti senza regole.
Per poter sfruttare al meglio ed usufruire il più a lungo possibile dei vantaggi che le lenti a contatto offrono è importante usarle bene, soprattutto per salvaguardare la salute dei propri occhi. Vi diamo alcuni suggerimenti da tenere in considerazione:
L’immagine in apertura dell’articolo riporta le indicazioni sintetiche standard della SOptI – Società Optometrica Italiana che rappresenta il riferimento standard per l’optometria e la tecnica di lenti a contatto in Italia.
Negli ultimi anni è diventato sempre più frequente l’utilizzo del monitor, sia sul posto di lavoro che nelle proprie case.
Il Videoterminale (VDT) di per se non provoca disturbi, piuttosto è un uso non corretto dello stesso a determinare l’insorgenza di un malessere localizzato agli occhi, alla testa, al collo, ecc.
Studi scientifici qualificati hanno fugato ogni falso allarmismo su argomenti comunemente additati come possibili cause di disagio quali ‘radiazioni’ o campi elettromagnetici.
All’origine del malessere determinato dall’uso del VDT, la cosiddetta Office Eye Syndrome , possono essere difetti visivi non corretti, o non diagnosticati, oppure una irritazione oculare cronica a volte dovuto proprio all’uso del VDT. Altre volte ancora possono esservi altre cause come quelle determinate dalla postura stessa dell’operatore dinanzi allo schermo, il contrasto e la luminosità del monitor o la posizione dello schermo all’interno della stanza operativa.
I disturbi che ne possono conseguire si possono distinguere in tre gruppi:
1) Affaticamento visivo (astenopia)
2) Disturbi muscolo scheletrici da postura e movimenti ripetitivi
3) Affaticamento mentale (stress)
In questa trattazione parleremo dell ‘Affaticamento visivo’.
Dagli studi epidemiologici sui video terminalisti sono emersi, con una certa frequenza, questi disturbi visivi che vanno sotto il nome di ‘astenopia’: bruciore oculare, visione sfocata o doppia, cefalea, lacrimazione, prurito, frequente ammiccamento, arrossamento della congiuntiva, spasmo palpebrale.
Molta letteratura scientifica concorda nel ritenere questi fastidi transitori e reversibili con il riposo, anche se, quando lo stress visivo derivante diventa eccessivo, si perviene ad adattamenti organici che hanno come conseguenza un peggioramento delle condizioni visive che nel tempo si struttureranno e diverranno permanenti.
L’astenopia in questione è da riportare alla sollecitazione prolungata dei muscoli oculari deputati alla messa a fuoco (accomodazione) e al centraggio dell’immagine, sollecitazione che è tanto più impegnativa quanto più l’oggetto è posto vicino. Ovviamente questo significa che è anche possibile far rilasciare questi muscoli alternando all’impegno visivo prossimale l’osservazione di oggetti lontani a tutto vantaggio del sistema visivo.
Da quanto sopra si comprende perché la normativa in vigore per i videoterminalisti richiede almeno 15 minuti di pausa ogni 2 ore di lavoro. La cosa può esser ulteriormente migliorata seguendo anche altre procedure. Va inoltre ricordato che lo sforzo dei muscoli oculari è per lo più svolto in maniera inconsapevole e solo a fine giornata se ne risentono le conseguenze quando non vengono adottate le misure preventive previste.
Pure importante è la distanza del video dagli occhi. Questo dovrebbe essere ad almeno 50-70 cm onde non creare stress ai muscoli dell’accomodazione e della convergenza, considerando anche che il punto prossimo di messa a fuoco si allontanerà gradualmente con l’età fino ad essere di circa 50 cm a 45-50 anni.
I fattori visivi che influenzano l’affaticamento visivo:
1) I vizi di refrazione non corretti o corretti non sufficientemente: (molto spesso non ci si rende conto di difetti visivi lievi che in questo tipo di lavoro diventano un elemento critico)
2) I disturbi della convergenza (eteroforie) che possono limitare la cooperazione binoculare
3) Le condizioni illuminotecniche: abbagliamenti diretti e riflessi
4) L’inquinamento indoor: crea sintomi su base irritativa (sostanze volatili , fumo di sigarette, ecc, oltre a polverosità e secchezza ambientale)
5) Orario di lavoro: protrarsi eccessivo di sforzi accomodativi e di convergenza
6) Tipo di lavoro: l’impegno visivo ha la sua influenza sul carico accomodativo e mentale